Medico cura te stesso

Quando il medico diventa paziente

I medici fanno prevenzione? Quando sono malati si curano da sé o preferiscono l'occhio di un altro specialista? E la morte di un paziente come incide sul loro equilibrio psico-fisico? Continua su Faromed l'approfondimento condotto all'Università di Modena e Reggio Emilia sulla condizione della malattia tra i medici.

Di BENIAMINO  PALMIERI,  LUCIA PALMIERI,  FRANCESCA POLLASTRI e CHRISTIAN BARALDI - UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA (DIPARTIMENTO DI CHIRURGIA)


(Terza parte)

In Victoria, Australia, McCall L (1999) ha eseguito un'indagine sulla diffusione delle metodiche di prevenzione tra i medici di base rivelando che circa il 4% del campione fumava, il 93% aveva controllato la pressione sanguigna negli ultimi 3 anni e il 64% aveva svolto un test per controllare i livelli di colesterolo. La metà circa affermava di seguire una dieta salutare e il 20% svolgeva abitualmente esercizio fisico. Per quanto concerne l'epatite B l'87% dei medici è risultato vaccinato. Il 49% dei medici si è ferito con aghi o strumenti non sterili negli ultimi anni, e la metà di questi medici negò di aver preso provvedimenti dopo questo evento. Il 69% non aveva un proprio medico di base.

Da questo studio emerge come la sensibilità del medico alla auto-prevenzione sia difforme e probabilmente basata su percezioni emotive individuali di esperienza personale e familiare, ma anche l'importanza di un buon equilibrio e benessere psicologico come elemento predisponente ad una buona gestione della propria salute; infatti tensioni e prolungati scompensi dell'emotività inducono facilmente all'abuso di abitudini voluttuarie, quali la consuetudine al tabagismo.


Uno studio svolto regolarmente ogni 5 anni da Bolinder e collaboratori (2002) su un campione del 5% di medici Svedesi, selezionati a random, ha dimostrato che i fumatori abituali erano circa il 6% (mentre la media nella popolazione Svedese era di circa 19% nel 2001), senza significative differenze dal 1996 al 2001. La maggior parte dei fumatori sono stati riscontrati tra i chirurghi e gli psichiatri (10%). In controtendenza , comunque il numero di medici che non ha mai fumato: 44% nel 2001 se comparato al 38% nel 1996. Si è notato anche un aumento del consumo del tabacco da fiuto, nonostante più del 50% dei dottori fossero perfettamente consapevoli che esso può provocare ipertensione, angina pectoris, infarto del miocardio e tumori del cavo orale. Il 92% dei medici consiglia di non fumare ai pazienti con problemi respiratori, vascolari e a donne in gravidanza; essi sono dunque consapevoli (71%) di poter essere un modello da imitare per i pazienti.


STUDIO

DISEGNO E

CAMPIONE

VACCINAZIONE

 

EPATITE B

VACCINAZIONE

 

TETANO

CONTROLLO PRESSIONE

DEL SANGUE

TEST

COLESTEROLO

MAMMOGRAFIA

PAP

TEST

 

Chambers

Indagine su 850 GPs (48% risposte)

 

49%

 

69%

 

 

52% mai controllati

 

 

80%
(5 anni)

 

Coutts et al.

Indagine su 30 GPs e 50 altri professioni-sti con un rischio professiona-le di infezione di epatite B (100% risposte)

 

83%

 

 

 

 

 

 

Wachtel et al.

Indagine su 458 istituzioni di salute pubblica (67% risposte)

 

 

 

 

 

71% (3 anni)

 

81%
(3 anni)

 

82%
(3 anni)

 

Frank et al.

Indagine su 4501 medici donna americane nello "Women Physicians' Health Study" (tutto incluso)

 

 

 

 

 

90,8% (5 anni)

 

79,8% (2 anni)

 

 

Wine set al.

 

Indagine su 275 urologi che partecipano all' Annual Scientific Meeting of the Urological Society of Australasia (70% risposte)

 

86%

 

 

 

 

 

 

O'Connor and Kelleher

Indagine su 300 membri della "Irish Medical Organization" (64,7% risposte)

 

 

 

86,5% (5 anni)

 

53,4% (5 anni)

 

 

44,8% (5 anni)

 

McCall et al.

Indagine su 544 medici generali in Victoria (58,5% risposte)

 

87%

 

 

93% 
(3 anni)

 

64% (3 anni)

 

47% (2 anni)

 

74%
(2 anni)

 

Richards et al.

Indagine su 500 medici (102 donne) registrata con il New Zealand Medical Council (62,2% risposte)

 

 

 

 

65.6%
(5 anni)

 

 

72.5% (3 anni)

 

Cornuz et al.

Indagine su 686 medici generali in tre cantoni della Svizzera (72,3% risposte)

 

 

 

97%
(5 anni)

 

86%
(5 anni)

 

 




A conferma dell'inadeguatezza della sorveglianza e cura della propria salute da parte della classe medica, Kay e coll. (2004) riportano uno studio di Davidson (2003) da cui emerge che il 44% dei medici hanno problemi cronici di salute. Inoltre è importante la correlazione tra malattie fisiche e mentali, come osservato da Gautam e coll. (2001) secondo cui il 30% dei medici in cura psichiatrica era affetto da malattia fisica cronica.


Center (2003), riporta un'alta percentuale di suicidi nei medici con infermità fisica grave. Pullen (1995) ha osservato che il 26% dei medici ammalati è riluttante a sottoporsi al giudizio di altri medici.


Kay ha descritto in sinossi elementi primari di profilassi cui si sono sottoposti i medici in diversi studi epidemiologici: vaccinazioni anti-epatite e anti-tetanica, regolare check-up della pressione sanguigna, livelli di colesterolo nel siero, mammografia e Pap-test.

Pochi sono gli studi in proposito, ma sopratutto, scarso risultato è la compliance dei medici esaminati, specie per vaccinazioni contro l'epatite B e il tetano.

Infatti l'autore, nonostante la raccomandazione di vaccinarsi contro l'epatite, dato l'alto rischio d'imbattersi in pazienti affetti, solo 49% - 87% dei medici risulta vaccinato. In questa indagine venne esaminata anche la categoria dei dentisti e degli anatomopatologi, i quali risultano immunizzati dalla vaccinazione contro l'epatite B quasi nel 100%.


Le rilevazioni sui controlli effettuati dai medici sullo stato di salute cardiovascolare sono più incoraggianti, in quanto risulta che il 93% dei medici di base controlla regolarmente la propria pressione arteriosa e il 64% ha misurato i livelli di colesterolo negli ultimi tre anni, come consigliano le linee guida sulla prevenzione. Inoltre il 51% dei medici dichiara di ritenere accettabile ordinare un'analisi del sangue per se stessi a fine diagnostico.


Sullo screening dei tumori si possono riscontrare proporzioni variabili tra il 47% e l'81% delle dottoresse, dell'età adeguata, che hanno effettuato una mammografia negli ultimi 2-5 anni. Questi dati possono essere confrontati con la media della popolazione Australiana dove il 74% delle donne si sottopone a uno screening mammografico.


Il Pap-test è eseguito sul 44% e l'80% delle dottoresse. In Australia il 74% dei medici di sesso femminile ha riportato di aver fatto un Pap-test, a differenza della media nazionale che è del 64% delle donne.


Una misurazione in Irlanda ha evidenziato che il 30% dei medici donna non ha mai effettuato un Pap-test, mentre la media è dell'11%.


Sebbene il test sull'antigene prostatico specifico (PSA) non sia raccomandato dalle linee guida per la prevenzione, circa tra il 26% - 51% dei medici dopo i 40 anni ha effettuato questo test, in particolare sono gli urologi ad avere le percentuali più alte, probabilmente perché abitualmente raccomandano l'esecuzione del PSA ai loro pazienti, onde la scelta degli screening per i pazienti è condizionata dal vissuto personale del medico in materia.

Quanto al medico di famiglia, elemento di riferimento oggettivo e necessario preposto istituzionalmente alla salute della popolazione, medici inclusi, esso risulta adottato solo nel 55% dei casi, e solo nel 33% dei giovani medici.


Bruguera et al (2001) da un campione di 695 medici di Barcellona inclusi a random per sesso età e residenza di cui solo il 34% rispose al questionario, riporta che il 49% dei medici ammise di non avere un medico di famiglia e nel 33% dei casi il medico di famiglia era iscritto al servizio sanitario nazionale, mentre il 48% dei medici dichiarò di non possedere nemmeno l'iscrizione alla lista dell'assistenza sanitaria. Per contro il 52% dei medici intervistati si era rivolto a diversi colleghi per estemporanee consulenze ma solo il 48% seguì le loro raccomandazioni mentre l'82% ammise la auto prescrizione terapeutica. Riguardo gli screening di prevenzione solo il 47% degli intervistati dichiarò di attendervi, ma il 19,5% non seguì le istruzioni del follow up.


I vantaggi di avere un medico curante istituzionalmente nel contesto del servizio sanitario sono che può assicurare una migliore documentazione sanitaria, può effettuare prestazioni terapeutiche o di prevenzione in modo più tempestivo. Infine quando insorge un problema, specialmente se urgente o imbarazzante, potrà contare su una relazione stabile basata sulla discrezione e fiducia col proprio medico di base, il quale può facilitare l'accesso alle strutture del sistema sanitario, cosa spesso difficile per i dottori.


E' intuitivo che il benessere psico-fisico di un medico è strettamente correlato con la sua efficienza e con un atteggiamento positivo nei confronti dei pazienti e degli eventi anche imprevisti che li coinvolgono.


A questo proposito una ricerca di Goldstone (2004) valuta l'impatto professionale dell'operato di chirurghi sui pazienti in lista immediatamente successiva per intervento, ad un decesso involontariamente causato da essi medesimi.

Il problema è stato posto aneddoticamente, ma non risolto (Smith 2001) a seguito del decesso subentrante di due pazienti operati dal medesimo chirurgo ortopedico. Nello studio di Smith sulle opzioni di 16 ortopedici di Welsh (Gran Bretagna) intervistati, solo uno dichiarò che avrebbe cancellato la lista di quel giorno, ma il problema sotto il profilo etico-professionale, si pone anche per gli anestesisti.

Goldstone (2004) ha rivolto l'indagine a 188 chirurghi e 288 anestesisti. Risposero in totale 371 medici esprimendo un'esperienza professionale cumulativa di 3463 anni con 3672 decessi. Il 33 % dei chirurghi e il 27% degli anestesisti non ripresero il lavoro quel giorno.

Il 27% dei chirurghi e il 26% degli anestesisti suggerirono che avrebbero comunque sospeso il lavoro in caso di evenienza letale, reclamando l'assenza di linee guida in proposito differenziate a seconda che casi si fossero trattati in emergenza o no. Solo il 29% di chirurghi e anestesisti ritenne che la morte intra operatoria avrebbe potuto influenzare negativamente o condizionare il loro successivo comportamento tecnico.

Nell'indagine condotta retrospettivamente non fu dimostrato un aumento di totalità nelle liste subito successive ad un decesso, ma semplicemente una più prolungata degenza in terapia intensiva dei pazienti ed una più tardiva dimissione risultò essere un surrogato di morbilità. Si osservò inoltre come la condotta operatoria successiva fosse inopinatamente maggiormente correlata a morti per interventi condotti in emergenza rispetto a quelli effettuati in elezione; ciò farebbe ipotizzare che il maggiore affaticamento e la maggior emotività di un intervento urgente possa determinare una condotta qualitativamente meno efficiente, oppure che la mortalità in corso di chirurgia elettiva, in quanto inaspettata, richiami nell'intervento successivo ad una strategia chirurgica più accurata e meticolosa.


Di fatto, nella delicata area cardio-chirurgica la condotta dell'operatore che subisce uno stress così grave, viene influenzata relativamente poco dall'evento infausto, ma è probabile che in futuro siano elaborate specifiche linee guida, proprio per non aggiungere stress al rischio e rischio allo stress compromettendo la salute dei pazienti, ma anche l'equilibrio psico-fisico e professionale dei chirurghi.



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