Medico cura te stesso

Quando il medico diventa paziente

(Seconda parte)



Ansia, emotività, malattie psichiatriche. E' vero che i medici hanno tassi di depressione più alti di altre professioni? Quali sono i profili più a rischio? E quali malattie sono più comuni? Un gruppo di "dottori" dell'Università di Modena e Reggio ha raccolto i risultati degli sporadici lavori sull'argomento, scoprendo interessanti caratteristiche di un mestiere affetto da alti livelli di stress debilitante.

Di BENIAMINO  PALMIERI,  LUCIA PALMIERI,  FRANCESCA POLLASTRI e CHRISTIAN BARALDI - UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA (DIPARTIMENTO DI CHIRURGIA)

Esiste un gruppo significativo di medici insoddisfatti, che si lamentano delle eccessive richieste del "sistema sanitario", e progettano di abbandonare la professione. Secondo una ricerca svolta in Norvegia (Tyssen R, 2001) sarebbero soprattutto le donne a esprimere tali sentimenti. I medici spesso vanno al lavoro anche se indisposti e tendono ad utilizzare poco le cure di salute primaria, preferendo curarsi da soli, persino in caso di malattie mentali. Tuttavia la maggior parte di essi è in grado di svolgere bene il lavoro e non ha un vero problema di salute in senso strettamente clinico, pur risultando maggiormente esposta a rischio di stress o depressione; di conseguenza i servizi di salute mentale dovrebbero essere più riservatamente accessibili ai medici.

Numerosi studi (Riley 2004; Davidson,2003) rivelano che gli internisti hanno i livelli più alti di malattie psichiatriche e di suicidi. Su tale argomento è importante porre l'accento poiché la filosofia esistenziale del medico si confronta col progredire dell'età, con la morte, raggiunta spesso al culmine di tremendi patimenti. Uno studio di M Redinbaugh (2005) analizza le reazioni emotive dei medici alla morte dei loro pazienti; il 74% accusò questa esperienza in senso positivo, il 4,7% accusò reazioni emozionali proporzionate al tempo di esposizione e dall'iterazione con i pazienti agonizzanti, essendo le relazioni emozionali proporzionate all'anzianità e al grado di training del medico: i più giovani, infatti, spesso quelli di sesso femminile, risultarono i più emotivamente turbati e bisognosi di supporto psicologico o da parte di colleghi o adottando un atteggiamento reattivo a sfondo filosofico o comportamentale.

L'idea di suicidio, che è il più importante fattore predisponente ai tentativi di suicidio, prevale tra i medici internisti, rispetto alla media della popolazione (Tyssen R, 2001).


Negli Stati Uniti Frank E e collaboratori (1999), sulla base di due precedenti dati statistici che pongono le morti premature dei medici al 35% secondo Thomas (1976) o rispettivamente al 3 e al 6,5% per gli uomini e per le donne-medico (editoriale AMA 1996), hanno effettuato un'indagine su donne medico scelte a random nelle ultime quattro decadi di classi di laurea. Questa ricerca è quindi sbilanciata a favore delle donne-medico, categoria comunque in aumento. Vennero inclusi soggetti tra i 30 e i 70 anni in attività parziale o totale o professionalmente inattiva o in età pensionabile. Risposero all'invito 4501 medici pari al 59% dei soggetti eleggibili. Vennero esaminati le risposte alle domande la depressione e il comportamento suicida. Globalmente l'1,5% delle intervistate dichiararono di aver tentato il suicidio e il 19,5% riferirono depressone in anamnesi, con il 2,4% di tale sintomo esteso ai figli e il 16,4% risalente alle madri, lo 0,4% ai membri della famiglia, il 3,6% ai parenti. Furono riscontrati nel vissuto di questi soggetti stili di vita scorretti o avvenimenti traumatizzanti.

La depressione è diffusa circa ugualmente tra le donne interniste e la media delle donne americane, ma le donne medico hanno un rischio più elevato di suicidio. Naturalmente i tentativi di suicidio. sono associati ad altri fattori come la familiarità per i disturbi psichiatrici, l'abuso di sostanze stupefacenti e di alcol, il fumo, abusi sessuali e la violenza domestica.

La depressione risultò più frequente negli psichiatri, tra coloro che lavoravano troppo, che erano frustrati dalla carriera, che non gestivano con equilibrio il loro lavoro o che erano maggiormente stressati. La sindrome della fatica cronica, disturbi del comportamento alimentare, obesità e altri disturbi psichiatrici erano inoltre presenti. Da questo studio si deduce pertanto che la depressione medica femminile del 19,5% è armonizzata con i valori della popolazione americana contenute tra il 7 e il 25%.


 

Numero di risposte

Età

donne medico

Tentato suicidio

Depressione

donne medico

Depressione

media USA

4501

30-70 anni

1,5%

19,5%

7-25%

 

 

Uno studio di Hem e collaboratori (2005) conferma questa teoria rilevando che le donne medico hanno dei tassi di suicidio più alti rispetto sia alle donne che lavorano in ambito accademico, sia alla media della popolazione femminile, mentre gli internisti uomini hanno dei tassi di suicidio più alti solo rispetto agli accademici.

I risultati ottenuti, indicano che tra le donne medico le idee di suicidio erano correlate allo stress lavorativo. Vi è una relazione significativa tra la prevalenza delle idee di suicidio e i lunghi turni lavorativi (> di 8 ore), associati ad ansia e conflitti tra ruoli professionali. Evidenziare i fattori di rischio del suicidio tra i medici può essere utile per elaborare dei programmi di prevenzione più efficaci.


Riguardo invece agli studenti di medicina e ai giovani medici una ricerca originale di Tyssen e collaboratori (2001) affronta in modo prospettico un campione rappresentativo di studenti interni al termine del corso di laurea ed alla fine del primo anno di specialità.

L'83% pari a 522 medici rispose all'invito indirizzato per posta con un'età media di 28 anni e il 43% di sesso maschile. Lo stesso campione ricevette un primo questionario ed un secondo a distanza di un anno cui risposero 371 soggetti pari al 71%. Il campione esaminato risultò quindi omogeneo e il questionario fu rivolto a: pensieri suicidi, piani suicidi, tentativi di suicidio, tipo di personalità, stress da corso universitario in medicina, stress da primo contatto con la professione medica, stato civile, eventi traumatici significativi accaduti nell'intervallo tra i due questionari, stress mentale.I pensieri suicidi nello studio di Tyssen furono del 43,1%, assai più alti di una precedente ricerca di Paykel sulla popolazione americana del 4,8%.

Altri autori riportano dati ancora più pesanti, tra cui Olkinuora e collaboratori (1990) in una popolazione di medici finlandesi descrive percentuali del 20,4 % e del 24% rispettivamente tra uomini e donne. Nella ricerca di Olkinuora non vi è differenza però tra uomini e donne. Quanto all'idea di suicidio essa era maggiormente presente nei giovani medici praticanti, ma anche in funzione di eventuali problemi di salute mentale dei soggetti testati, tra cui stigmate di neuroticismo e vulnerabilità psicologica. I soggetti con personalità rigidamente controllata risultarono essere più inclini a tendenze suicide, mentre il matrimonio o una stabile relazione con un partner si rivelarono fattori protettivi. Anche la presenza di sintomi psichici minori, specie la depressione fu positivamente collegata all'idea di suicidio, così come l'ansietà.

In conclusione lo stress da lavoro e la personalità dei soggetti emersero come fattori indipendenti responsabili delle idee di suicidio, indirizzando di conseguenza la prevenzione verso una minor pressione psicologica di intensità del lavoro, di condizionamento positivo a reagire allo stress positivamente e di creare adeguati servizi di assistenza ai problemi mentali dei medici.


Nel 1996 in Gran Bretagna Chambers, ha evidenziato che il 50% di un campione di 408 medici di base è risultato affetto da una grave infermità fisica o ha dovuto subire un'operazione chirurgica recentemente. Le malattie da cui erano affetti più frequentemente furono: cardiovascolari (4% - 15% della popolazione), respiratorie (10% - 21%), muscolo-scheletriche (9%-38%), tumori (2% - 3% ) e malattie psichiatriche (3% - 10%). Fu notata, inoltre una stretta correlazione tra la salute fisica e mentale dei medici studiati: il 30% di essi che necessita di cure psichiatriche ha in concomitanza una malattia fisica cronica, e quelli con malattie fisiche possono andare incontro a un rischio più alto di suicidio.

Il 26% dei medici con problemi di salute analizzati in questo studio dichiara di sentirsi inibito nel cercare consulti di altri colleghi. Emblematico è il caso riportato di un medico affetto da linfoma che, praticando auto-diagnosi senza rivolgersi a uno specialista che lo guidasse, ha indugiato nel cercare delle cure mediche adeguate ed è morto.

In uno studio di follow-up su un campione di medici di base della Gran Bretagna l'8,6% è andato in pensione prima dei 60 anni per malattia.


Un interessante studio epidemiologico mediante questionari realizzato da Gyorffy Z in Ungheria (2005) su un campione di 407 medici di base, confrontati con i dati relativi a un gruppo di controllo di 1752 lavoratori di sesso maschile e femminile ha dimostrato che vi è una prevalenza delle malattie somatiche croniche tra internisti di sesso maschile e femminile (circa 44% dei medici affetti) rispetto alla media della popolazione di controllo.

In particolare i medici, sono colpiti soprattutto da tumori maligni, diabete, insufficienza renale, ipertensione, infarto del miocardio, malattie cardiovascolari e ulcere gastriche. I medici di sesso femminile, se comparati alla media della popolazione, mostrano una maggiore prevalenza di: tumori maligni, ipertensione, infarto del miocardio, asma bronchiale, altre malattie polmonari e cardiovascolari, allergie, malattie gastrointestinali (prevalentemente ulcere), e problemi ginecologici.

Questo studio riporta inoltre un incremento delle problematiche legate alla riproduzione materna delle interniste, se confrontate alle donne del gruppo di controllo, quali: l'aborto spontaneo, l'interruzione di gravidanza, l'aumento del rischio di complicanze durante la gravidanza. Sembra esserci anche qui una correlazione tra l'incidenza delle malattie e l'attività lavorativa stressante.




Fig. 3. Esposizione dei medici alle malattie



E' ormai risaputo che gli ambienti ospedalieri presentano un altissimo rischio di induzione di infezioni batteriche e virali. Perkin (2003) ha effettuato uno studio su giovani medici ospedalieri londinesi, registrando il numero di congedi per motivi di salute richiesti nel 1993 e nel 2001. Essi furono invitati a compilare un questionario in cui dovevano dire se negli ultimi sei mesi avevano avuto una malattia infettiva del tratto gastrointestinale con episodi di diarrea e vomito, o delle vie aeree superiori, infezioni della pelle o in altre sedi. Oltre a specificare la malattia dovevano anche specificare quante infezioni cutanee o di altri disturbi avevano subito e la durata del congedo dal lavoro per ciascun episodio morboso.

Il proposito era di analizzare l'incidenza delle malattie infettive nei medici, valutando se alcuni di essi rimanessero al lavoro inappropiatamente e se l'opzione di richiesta di congedo fosse influenzata da qualche fattore estraneo alla malattia.

Lo studio ha rilevato che il numero di medici che sono stati infettati in ospedale era di 61,7% nel 1993 su un campione di 81 medici, e aumentava a 68,2% su un totale di 110 medici nel 2001, ciò sta a significare che la maggioranza degli ospedalieri ha avuto almeno una malattia infettiva negli ultimi sei mesi con aumento prevalente di episodi di diarrea e vomito. Per quanto riguarda i congedi per malattie infettive si è notato un incremento significativo delle richieste da parte dei dottori da un 15,1% nel 1993 fino a un 36,8% nel 2001; mentre nel 1993 nel 84,9% degli episodi infettivi non era stato richiesto un congedo e nel 2001 il 63,2% dei casi non interrompeva il proprio lavoro


Anni

Numero medici

Medici con infezioni gastrointestinali

Malattie infettive

con congedo

Malattie infettive

senza congedo

1993

81

61,7%

15,1%

84,9%

2001

110

68,2%

36,8%

63,2%


La motivazione più frequente della minor richiesta di permessi era di non sovraccaricare i colleghi di un carico eccessivo di lavoro in sostituzione. Inoltre ,mediamente nel 25% dei casi è stata citata la pressione del primario a mantenere l'efficienza del reparto; di conseguenza si può affermare che i medici hanno un alto rischio di essere affetti da malattie infettive, ma, nonostante il calo del numero di medici contagiati che non richiedono congedo per malattia, la maggior parte rimane al lavoro. Diventano quindi necessari dei cambiamenti che vadano a favore dei medici infettati, e che siano utili anche a limitare il rischio d'infezioni iatrogene.

In uno studio pubblicato sul BMJ Thompson (2001) afferma che i medici, oltre a essere riluttanti ad ammettere la loro malattia, generalmente non seguono i consigli e le norme di prevenzione che forniscono ai loro pazienti.


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