Alla fonte dell'effetto placebo

Una revisione di articoli scientifici stilata negli USA dà una scossa a un classico paradigma medico, quello sull'uso dei placebo. Il tutto con un neologismo: “placeboma”. Ossia la rete di geni che, secondo l'ipotesi, rende gli individui più o meno reattivi alle sostanze placebo, molecole ritenute generalmente ad effetto nullo sulla salute dell'organismo. Ma a cui la scienza sta attribuendo un ruolo nella cura della salute più importante di quanto precedentemente ritenuto.

L'effetto placebo si verifica quando i pazienti mostrano un miglioramento dopo aver assunto prodotti che in realtà non contengono principi attivi. In alcuni pazienti questo effetto è pronunciato, in altri invece assai scarso. Si tratta di un approccio puramente psicologico che condiziona gli uni ma non gli altri? Una revisione di lavori scientifici - compilata dai ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) e del Dipartimento di Medicina del Brigham and Women Hospital di Boston – a cercato di rispondere al quesito, andando ad analizzare la genetica sottesa all'effetto placebo.

«Il sequenziamento genetico rivela che la risposta al placebo è un fenotipo complesso con una fisiologia ignota», ha detto Kathryn Hall della Harvard Medical School, coautrice dell'articolo pubblicato sulla rivista scientifica Trends in molecular medicine. L'idea che muove i ricercatori americani, supportata da numerosi studi, è, in estrema semplicità, questa: esistono variazioni genetiche individuali che incidono sul funzionamento dei neurotrasmettitori. Il risultato finale di queste reazioni biochimiche è una risposta diversa di ogni individuo alle sostanze placebo. «Abbiamo ipotizzato che la variazione genetica nei geni che codificano le proteine in questi neurotrasmettitori potrebbe anche modificare le risposte placebo», ha sintetizzato la Hall, che già nel 2012 aveva individuato un enzima – chiamato COMT - che influenza la risposta al placebo di un individuo e la cui presenza è spiegabile in termini di genetica individuale. COMT sarebbe dunque un primo tassello del “placeboma”, un mosaico di geni che scatena delle reazioni biologiche che suscitano un effetto determinato sul nostro organismo.

Il “placeboma”, un neologismo che deriva dalla crasi tra “placebo” e “genoma”, per ora è solo teorizzato nella sua complessità e attende di essere caratterizzato rigorosamente dalla genetica. La sua esistenza però porterebbe a un cambio di paradigma nella scienza medica. Il fatto che agisca sui neurotrasmettitori, la medesima via di azione di taluni farmaci, suggerisce infatti che potrebbero esserci interazioni tra placebo e medicine. E la sua esistenza porterebbe inoltre a una profonda revisione degli studi clinici. Finora, per definire l'efficacia di un trattamento, si contrappongono i pazienti che assumono il principio attivo con quelli che assumono il placebo, usati come controllo dei primi. Ma ha senso continuare così, se il nostro organismo reagisce effettivamente anche al placebo?


Fonte: http://www.cell.com/trends/molecular-medicine/abstract/S1471-4914(15)00043-X?_returnURL=http%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS147149141500043X%3Fshowall%3Dtrue




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