Dermatite atopica e biomarcatori: verso terapie mirate

La dermatite atopica, come già il nome suggerisce, è una malattia infiammatoria della pelle tanto comune quanto complessa ed eterogenea.
Fino a tempi recenti, le linee guida per il suo trattamento tendevano a focalizzarsi sulla gravità del disturbo e a raccomandare farmaci del tipo “one-fits-all”, senza tenere conto della patogenesi individuale. Vista la natura altamente eterogenea della patologia, però, è improbabile che pazienti diversi rispondano allo stesso modo a un dato trattamento.

Il recente utilizzo di biomarcatori immunologici apre nuove prospettive per la cura di svariate malattie, tra cui proprio la dermatite atopica. Grazie ai biomarcatori, si potranno sviluppare terapie mirate per una gestione personalizzata del paziente, basata sul suo endotipo. Su questo aspetto si focalizza una review condotta dal Centro medico universitario di Utrecht, nei Paesi Bassi, e pubblicata sulla rivista The Journal of Allergy and Clinical Immunology.

Un biomarcatore, secondo la definizione della Food and Drug Administration statunitense, è una caratteristica definita e misurabile, che può essere usata come indicatore dei normali processi biologici, dei processi patologici o della risposta a un intervento terapeutico. I biomarcatori possono essere definiti da dati genomici, trascrittomici e proteomici, ma anche da informazioni morfologiche. Rilevarli è semplice: si possono ottenere da campioni di sangue, urina, saliva o tessuto – dalla pelle nel caso della dermatite atopica.

Ad oggi sono stati individuati vari biomarcatori prognostici per la dermatite atopica, ma nessuno è ancora entrato nella pratica clinica quotidiana. Gli autori ne evidenziano alcuni che sembrano essere promettenti, tra cui una composizione lipidica alterata dello strato corneo e la chemochina CCL17/TARC.

Uno studio ha evidenziato che un basso livello di fattore di crescita endoteliale vascolare nel siero era associato alla persistenza della malattia nei bambini. Mentre livelli elevati di IgE nel siero di pazienti adulti sono stati associati alla persistenza dell’eczema dopo 10 anni. Alcuni studi clinici, inoltre, hanno testato potenziali biomarcatori per valutare l’efficacia di diversi trattamenti farmacologici.


Fonte: https://www.jacionline.org/article/S0091-6749(23)00143-4/fulltext


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