Il genere cambia la percezione del dolore

Il dolore cronico è uno degli ambiti attualmente di maggiore interesse della ricerca scientifica per la sanità, nel tentativo di identificare e mettere a punto terapie in grado di fornire sollievo ai pazienti e, al contempo, permettere un minore esborso di denaro a carico dei sistemi sanitari.

A differenza del dolore acuto, che è associato e indica un danno tissutale specifico, quello cronico che persiste oltre il periodo normale di guarigione è disadattivo, dunque innesca delle reazioni biologiche inutili e dannose per l’organismo. Cercare di ridurlo, dunque, è utile al benessere e alla qualità di vita (anche a lungo termine) del paziente.

In questo senso risulta significativo lo studio pubblicato sull’Annual Review of Pharmacology and Toxicology nel gennaio del 2023, che ha indagato differenze e somiglianze di genere nei segnali cellulari e molecolari che guidano la generazione e la risoluzione del dolore neuropatico. Il tutto a partire dal presupposto che queste similarità o dissimilarità tra maschi e femmine nella degenerazione dei processi di segnalazione periferici e centrali sono essenziali per indagare più a fondo le variabili chiave nei processi nocicettivi, comprendendone i meccanismi fisiologici che ne stanno alla base.

Come ha confermato il nuovo studio, la base neuroimmune del dolore neuropatico è sessualmente dimorfica, ossia varia ampiamente tra maschi e femmine. Nello specifico, vari recenti ricerche hanno dimostrato che i meccanismi che coinvolgono le cellule della microglia e le cellule T – rispettivamente elementi del sistema immunitario innato e adattativo – mostrano notevoli differenze tra i sessi sia nelle fasi iniziali sia in quelle successive della segnalazione del dolore neuropatico. Altri meccanismi, come quelli che coinvolgono i macrofagi e i neuroni sensoriali primari, risultano essere invece indipendenti dal sesso.

Come anticipato, anche il concetto di degenerazione è essenziale per impostare le migliori terapie per ciascun paziente. Sono stati identificati diversi nodi che sembrano mostrare una considerevole degenerazione e quindi sono potenzialmente i primi candidati terapeutici. Tra questi, per la precisione, gli scienziati hanno già identificato il cosiddetto KCC2, i recettori NMDAR contenenti GluN2B, il gene che codifica per l’apolipoproteina E (APOE) e la tirosina chinasi della milza.

Come ha scritto nella pubblicazione il gruppo di ricerca canadese che si è occupato dello studio, i nodi di segnalazione critici per il dolore neuropatico sono la chiave per sviluppare strategie analgesiche mirate e ampiamente applicabili. E in tutto questo ora sappiamo che anche il sesso del paziente gioca un ruolo importante.


Fonte: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36662582/




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