In reumatologia urgono diagnosi più precoci

L’incidenza delle malattie reumatiche è sottostimata, e le diagnosi sono spesso tardive.

È un quadro poco rassicurante e poco ottimista quello che emerge per voce della Società italiana di reumatologia (Sir) a partire dai dati odierni e dai trend. Si prospetta infatti un raddoppio del numero di persone con criticità muscolo-scheletriche nel giro di un ventennio, soprattutto tra ultra 65enni, eppure a oggi l’attenzione verso patologie come artrite reumatoide, artrite giovanile, osteoartrite, spondilite anchilosante, artrite psoriasica, reumatismi, sclerodermia e molte altre è minima. E questo nonostante siano patologie molto dolorose, invalidanti e capaci di impedire anche i più semplici gesti di ogni giorno.

A volte considerate “normali acciacchi della terza età”, altre volte dimenticate o proprio sconosciute, le malattie reumatiche hanno un evidente problema di sottostima. La statistica ufficiale secondo cui ne soffre una persona su tre dopo i 65 anni, quindi, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. E pure in quei casi in cui la diagnosi effettivamente arriva, il più delle volte si è già accumulato un ritardo importante – anche di qualche anno – che compromette il percorso terapeutico e di assistenza.

Nonostante l’attuale disponibilità di farmaci efficaci contro molte condizioni, il ritardo nell’attivazione delle terapie rende molto più difficile sia rallentare la progressione dei danni sia riuscire a migliorare significativamente la qualità di vita dei pazienti. Il tutto perché, dato che si tratta di patologie che provocano danni irreversibili, si interviene quando la situazione è già compromessa e in buona parte irrecuperabile.

In questo senso la Sir, per voce del suo presidente e in collaborazione con Federanziani Senior Italia, ha sottolineato quanto a oggi il tema della diagnosi precoce rappresenti un’urgenza a tutti gli effetti. La mancanza di cultura sulle malattie reumatologiche, in particolare, è stata indicata come il problema numero uno da affrontare, sia da parte degli operatori sanitari sia da parte dei pazienti e della società in generale.

Che fare, dunque? Le possibilità d’azione sono numerose, e la Sir ne ha indicate almeno tre, tra loro complementari. Una prima linea di possibile intervento riguarda la comunicazione e l’informazione al paziente: attraverso opportune campagne si può aumentare la consapevolezza sull’incidenza e sui sintomi di queste condizioni. Rivolgendosi però, è stato sottolineato, non solo agli anziani ma anche ai più giovani, perché si tratta di malattie che possono colpire anche persone nel pieno della loro attività lavorativa, rendendola peraltro molto più difficoltosa.

Un secondo possibile canale è il coinvolgimento dei medici di medicina generale. Da un lato i pazienti dovrebbero sapere quali sono e diventare capaci di identificare i principali campanelli d’allarme che indicano la comparsa di patologie reumatiche, e dall’altro i medici di famiglia dovrebbero essere pronti a indirizzare i propri pazienti verso i centri reumatologici nel modo più rapido possibile, in modo da anticipare non solo la diagnosi in sé ma anche la definizione delle strategie terapeutiche.

Infine, ma non per importanza, è possibile intervenire a livello organizzativo e di sistema. Oltre al supporto delle istituzioni nelle campagne informative, la creazione di reti reumatologiche in contatto diretto con i medici di medicina generale, secondo la Sir, potrebbe migliorare la filiera di comunicazione e la solidità del network di cura del paziente. Tenendo sempre conto che all’interno del territorio nazionale italiano ci sono importanti differenze: in alcune aree la presenza di centri reumatologici di riferimento è già ottimale, mentre in altre zone c’è una forte carenza di centri di reumatologia, al punto che indirizzare il paziente è una vera sfida, ardua o addirittura impossibile.


Link di riferimento: Società italiana di reumatologia, 2020 https://www.reumatologia.it/campagne-sir





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