Intestino infiammato: dai geni alla medicina di precisione

Dolori e crampi addominali, diarrea persistente, senso di affaticamento, sangue nelle feci. Sono tutti campanelli d’allarme della possibile presenza di una malattia infiammatoria intestinale, di cui le due rappresentanti principali sono la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.

La componente genetica delle malattie infiammatorie intestinali è nota da oltre due decenni e sono stati individuati più di 200 geni che potrebbero svolgere un ruolo nello sviluppo della patologia. Eppure, gli studi mirati all’analisi del rischio genetico e al suo impatto sulle strategie terapeutiche e sull’esito della malattia sono ancora relativamente pochi.

Un team di ricerca svizzero ha condotto una review sistematica proprio per fare il punto sulle conoscenze relative alla base genetica delle malattie infiammatorie intestinali e al loro possibile impatto sulle strategie terapeutiche. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Molecular Diagnosis & Therapy.

Oltre agli studi relativi alle analisi genomiche, gli autori prendono in considerazione le ricerche nel campo della farmacogenomica. Questa disciplina studia come le variazioni genetiche influenzino la risposta di un individuo ai farmaci. Si concentra sull’identificazione dei geni che possono influenzare la metabolizzazione dei farmaci e sulla comprensione di come queste variazioni genetiche possano determinare la risposta del paziente a un dato trattamento.

In sostanza, la farmacogenomica mira a personalizzare i trattamenti farmacologici in base al profilo genetico di ciascun individuo, al fine di massimizzare l’efficacia e ridurre il rischio di effetti collaterali indesiderati. Questo approccio è di particolare interesse perché può contribuire a ottimizzare i risultati terapeutici e migliorare la sicurezza dei pazienti.

Come puntualizzano gli autori della review, la fisiopatologia delle malattie infiammatorie intestinali sembra essere troppo complessa per essere spiegata solo in termini di azione di singoli geni o associazioni di geni.

Il vantaggio più interessante di una valutazione del rischio genetico, concludono El Hadad e colleghi, sarà verosimilmente proprio nel campo della medicina di precisione e della farmacogenomica, dove la presenza o l’assenza di uno o più geni di rischio potrebbe fornire un valido supporto al processo decisionale terapeutico.



Fonte: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10787003/



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