Individuato il gene dell'Alzheimer familiare?

L'Alzheimer ereditario è caratterizzato dalla presenza nel dna umano di un gene mutato. A rivelarlo uno studio americano pubblicato on-line all'inizio di novembre su Lancet Neurology  che, se confermato, costituirà una tappa importante per lo sviluppo di un test genetico che potrebbe rivelare già a 20 anni se ci si ammalerà di una malattia che, spesso, manifesta i primi segni di deficit cognitivo già dopo i 40 anni.

Il gruppo di lavoro, composto da scienziati del Banner Alzheimer's Institute in Arizona, della Boston University e dalla University of Antioquia, ha analizzato cervello, sangue e liquido cerebrospinale di 44 individui tra i 18 e i 26 anni che non presentavano segni clinici dell'Alzheimer. La scoperta è stata sorprendente: quasi un terzo delle persone testate presentava la mutazione di un gene chiamato presenilina (PSEN 1). Non solo. In questi soggetti l'attività elettrica nell'ippocampo (area responsabile della memoria) e nel paraippocampo era decisamente superiore a quella rilevata in persone con il gene non mutato, il volume cerebrale in altre aree del cervello minore e la concentrazione nel liquido cerebrospinale, della proteina beta-amiloide (principale responsabile dello sviluppo dell'Alzheimer), maggiore.

«Lo studio aiuterà a porre le basi per la valutazione dei trattamenti di prevenzione della forma ereditaria di Alzheimer – spiega Adam Fleisher del Banner Alzheimer's Institute – e possono aiutarci nella comprensione delle prime fasi dell'Alzheimer che compare in età avanzata, che è anche la più diffusa». Non tutte le forme di Alzheimer infatti hanno un'origine genetica e sono caratterizzate da un'insorgenza tanto precoce. Tuttavia riuscire a individuare in anticipo alterazioni genetiche, e non solo, legate allo sviluppo di questa malattia apre nuove, precoci prospettive terapeutiche. Davvero una buona notizia se si considera il fatto che, spesso, le cure farmacologiche intervengono quando la malattia ha già danneggiato seriamente il sistema nervoso.

Fonte: http://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422(12)70228-4/fulltext


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